Alla ricerca dei relitti perduti

rmai è la sesta volta che torno ad El Alamein e non per mancanza di fantasia, anzi ogni volta è come la prima data la vastità del territorio e delle innumerevoli cose da vedere. I contatti in loco non mi mancano: beduini, guide, il nuovo staff Albatour, Valentina guest relation, e funzionari di polizia. Sono mesi che preparo questo viaggio: esattamente dall’ultima volta che sono tornato e cioè da settembre 2006. Il programma è ricco e ambizioso e ovviamente contrasta con il sempre cronico “poco tempo a disposizione”. I numerosi contatti avuti durante questo intervallo di tempo (precedenti spedizioni, rari e vivaci reduci di guerra, pubblicazioni inedite) mi hanno permesso di arricchire le mie già nutrite conoscenze dei luoghi e delle vicende ad essi collegate. Il viaggio si dividerà in tre momenti distinti: la costa, il teatro di guerra (ho nuovi e inesplorati waypoint gps ) e il Great Sand Sea a sud di Siwa alla ricerca di due relitti di velivoli appartenuti alle forze dell’Asse e dispersi nel deserto.


Sottopongo l’itinerario ad Ahmed della Apple Tours del Cairo, mio caro amico e guida e, smussati percorsi inutili che avrebbero sottratto troppo tempo, si decide per un giro di tre giorni all’interno degli otto a disposizione. Ora servono compagni di viaggio fidati e affiatati. Ne parlo con i colleghi di lavoro e con amici ed esposto il programma formiamo il gruppo: Tiziana con sua figlia Chiara, Carmen, Silvana con il suo piccolo Francesco di 6 anni, Roberto sua moglie Anna e il loro figlio Lorenzo ed infine io e mio figlio Giulio. Il prezioso aiuto di Ahmed ci consente il disbrigo di tutte le formalità connesse al permesso di attraversamento di zone militari, nonché di tutta la logistica connessa alla permanenza per un certo periodo nel deserto e all’allestimento dei fuoristrada necessari.
Intanto scrivo a Valentina della Alba Club (nostra base logistica) preannunciando il ns arrivo e illustrando il programma. Giunge finalmente il 27.02 ed imbarcato il gruppo atterriamo dopo tre ore in quello che è stato l’importante campo di aviazione dell’Asse di El Dabah ed ora è l’International El Alamein Airport. Il primo incontro con gli amici del luogo, le formalità doganali e poi via verso il bellissimo albergo Charm Life di Gazala beach in El Alamein. La calda accoglienza di tutto lo staff dell’albergo e della Alba Club ci fa sentire subito a nostro agio e così cominciamo a riempirci il cuore e gli occhi di quella magia che è la costa mediterranea dell’Egitto e il primo deserto occidentale così ricco di sacrificio di centinaia di migliaia di giovani in armi.
Dedichiamo i primi due giorni all’acclimatamento e alla visita dei Sacrari dell’Asse e del Commonwealth: per i componenti del gruppo è la prima volta e credo che rimarrà un ricordo indelebile e struggente (bisogna visitarli questi posti per rendersi realmente conto cosa sia stata le guerra nel deserto e cosa abbiano patito così tanti ragazzi e, senza retorica ed indipendentemente dall’ideologia, scaturisce spontaneo un profondo senso di rispetto e pietà). Rasoul, custode del Sacrario Italiano fin dai tempi di Caccia Dominioni (combattente ed architetto progettista del Mausoleo, alla fine del conflitto vagò dal 1949 al 1962 nel deserto alla ricerca delle spoglie mortali dei soldati di ogni nazione per dar loro degna sepoltura con l’aiuto solo del suo sergente Chiodini e di qualche beduino fra i quali appunto Rasoul), mi riconosce e dopo il consueto caloroso saluto ci introduce alla visita dell’imponente struttura e dell’annesso bel museo. Concludiamo la giornata con un buon thè alla menta in un caffè dell’abitato di El Alamein. Il giorno successivo è di riposo in spiaggia in quanto verso le quattro di notte partiremo per il Great Sand (sulla cartografia araba è scritto El Bahar El Aazam).
All’ora stabilita, le jeep sono fuori dall’Albergo che ci attendono. Caricati gli zaini, il pc con tutta la cartografia dettagliatatissima e i gps partiamo: destinazione Marsa Matruh a 150 Km poi a sud verso Siwa a 300 km ove ci attende un’altra jeep con Ahmed e la sua affabile moglie Sinah per la colazione. La trasferta bisogna ammetterlo è pesante, soprattutto se fatta con un fuoristrada, complice anche l’ora e il fondo stradale. A metà strada ci si ferma per vedere il sorgere del sole e per gustare un thè in quello che è un punto di ristoro in pieno deserto sassoso (8 thè, 12 lire egiziane neanche 2 euro). Ripresa la marcia finalmente verso le nove si apre davanti ai nostri occhi la meraviglia dell’oasi di Siwa: una depressione di kilometri e kilometri quadrati letteralmente coperta da laghi dolci e salati (circa 80) palmeti uliveti aranceti a perdita d’occhio e a un lato di essa la cittadina brulicante di carretti trainati da somarelli sormontata dalle rovine della città vecchia: un presepe di case costruite in mattoni crudi fatti con un impasto di fango e paglia, una sull’altra agli inizi del XIV secolo.
Oggi è giorno di mercato ed un brulicare di persone, bambini, carretti colmi di verdure ci fanno da cornice fintantoché, imboccato un meraviglioso quanto suggestivo palmeto, giungiamo all’albergo ove ci attende Ahmed con l’altro fuoristrada. Calorosi abbracci, un immancabile thè alla menta e subito si sgonfiano le gomme dei fuoristrada per poter affrontare meglio il deserto. Lasciamo l’oasi e subito ci appaiono le prime alte dune, la sabbia è soffice ma la perizia del nostro Menem e Moahmed impedisce l’insabbiamento dei mezzi. Intervallate alle dune si stagliano formazioni rocciose calcaree dalle forme più varie e dai colori che virano dal bianco accecante al cobalto al giallo e al nero: a fungo, a piramide, a volta, segno dell’inarrestabile erosione del vento e delle sabbie. Sono formazioni sedimentarie, infatti siamo in quello che era un fondo marino e i fossili alcuni veramente splendidi ci accompagneranno per un discreto tratto.
Attraversiamo un letto di madreperla e gesso ed arriviamo sulla sommità di un pianoro sabbioso sormontato da due palme ove ci fermiamo per gustare due banane e per sgranchire le gambe. Mi diverto a guardare gli occhi di Tiziana, Chiara, Carmen,Silvana e di mio figlio Giulio: stupore, incredulità e meraviglia e disegnano sui loro volti espressioni mai viste: sono felice e siamo solo agli inizi! Ripartiamo e man mano che le rocce ci lasciano si apre davanti a noi l’incontaminata distesa del gran mare di sabbia con le sue dune costantemente rimodellate, a perdita d’occhio, da ora uniche compagne di viaggio a volte infide per i numerosi insabbiamenti a volte amiche dal fondo compatto. E’ un gigantesco ottovolante, con discese mozzafiato e risalite al limite del ribaltamento ma la perizia di Menem e Mohamed nell’affrontare queste dune è proverbiale e non abbiamo paura: solo Tiziana, mai stata neanche sulle montagne russe, affronta le prove con non poca tensione sul volto per sfociare in un sorriso di soddisfazione non appena il terreno torna pianeggiante.
Non sembra ma abbiamo già percorso circa 100 km dall’oasi di Siwa, il paesaggio così uguale e così diverso ad ogni sguardo ci apre ad emozioni e sentimenti che solo il deserto sa dare a chi lo sa vedere ed ascoltare: un detto Tuareg dice che non è vero che il deserto è silenzio, solo chi sa ascoltarlo può udire il suo prorompente urlo e richiamo e a noi pare già di sentirlo, quando all’improvviso risuona il “beep beep” del gps: siamo a circa 1 km dal primo relitto. Infatti dopo poco avanti a noi appare la sagoma scheletrica e inquietante del muso di un Heinkel 111 precipitato: primo obbiettivo raggiunto! Sosta e foto, poi i pensieri immediatamente volgono alla misera sorte dell’equipaggio senza via di scampo dall’inferno di sabbia. Siamo quasi al tramonto e fra breve sarà buio, ma il secondo relitto è a pochi km (circa 15 secondo i dati del mio gps) così decidiamo di raggiungerlo e fare il campo per la notte. Un altro “beep beep” di prossimità, dovrebbe essere lì ma non troviamo nulla; vinti dalla delusione e dalla stanchezza ci attrezziamo per il campo.
Sistemate le jeep una contro l’altra a 90º, si montano le tende e le guide preparano per la cena e per il fuoco; io e Ahmed intanto, perlustriamo la zona confidando nella buona sorte. Il sole ormai nascosto dalle dune ci regala colori che vanno dal giallo intenso al rosso fuoco e le nostre ombre adesso sono proiezioni di oltre 50 metri. Il cuore gonfio e gli occhi lucidi si concedono una pausa intorno ad una ottima scodella di minestrone e ad uno stufato di verdure. Ci scambiamo pareri, emozioni e siamo avvolti dalla notte. La luna piena sale a est, le costellazioni ci si offrono come non mai le abbiamo viste, il fuoco brilla sotto le teiere: è silenzio, assoluto, impetuoso quasi invadente e ci lasciamo trasportare dalla sua magia.
Radunati attorno al thè, mangiamo datteri secchi e arachidi sperando così di prolungare all’infinito questa magica notte che è cibo per l’anima. Siamo però stanchi e a malincuore ci ritiriamo nelle rispettive tende ma il piccolo Francesco è euforico, ride chiacchiera non vuole assolutamente arrendersi: è comprensibile! Verso le tre mi alzo, esco dalla tenda e faccio un giro intorno; è luce, lunare e intensa, ombre lunghe e cupe si proiettano sulla sabbia, rimpiango di non conoscere l’astronomia: più in là del Gran Carro e Piccolo Carro non vado e invece ho sotto gli occhi il più bell'atlante astronomico del mondo. Sveglia alle 6.30, Carmen lamenta che ho turbato la quiete del deserto russando profondamente (per un attimo le è sembrato di essere a casa: infatti suo marito russa abbondantemente) ma stranamente ci siamo alzati tutti con il sorriso e con la voglia di rotolarci fra le dune: Silvana è la prima e abbraccia la sabbia come un atto di amore profondo, la capisco e la apprezzo.
Sinah ha già preparato la colazione a base di thè caffelatte biscotti e datteri e approfittiamo. Nel mentre che le guide smontano il campo partiamo per una passeggiata a piedi di qualche km sulle creste delle dune: curioso, un lato del crinale, quello sopravento è compatto e stabile mentre quello sottovento è soffice e si sprofonda, ma è un ottimo risveglio muscolare. Un punto all’orizzonte, si riaccendono le speranze, si è lui il secondo relitto! Miseri resti di un caccia BF109 cannibalizzato, ci raduniamo per le foto di rito e le dovute valutazioni: secondo obbiettivo raggiunto, la giornata comincia sotto i migliori auspici.
Ci raggiungono le jeep, tappa verso Russian Spring, pozzo petrolifero russo degli anni sessanta; ma invece del petrolio hanno trovato acqua! Testine di trivellazione abbandonate, resti di baracche, lattine, taniche: il deserto è stato profanato ma si è vendicato con la miglior moneta, l’acqua. Beviamo, è ferruginosa ma buona: terzo obbiettivo raggiunto. La lunga marcia di rientro si discosta dal percorso dell’andata e così inavvertitamente ci imbattiamo in un deposito abbandonato dei Long Ranger Desert Group (truppe speciali dell’esercito britannico che con jeep fornite di scorte per 15 giorni pattugliavano il deserto infiltrandosi in ogni dove).
Cumuli di taniche di benzina e casse di legno ammucchiate in una vallata che poteva servire anche da campo di atterraggio, e tutt'intorno fossili, selci, cristalli di gesso. Il fondo ora si fa infido e gli insabbiamenti non si contano più; a volte dobbiamo fare giri lunghissimi attorno alle dune per trovare un varco e su una di queste rimaniamo addirittura in bilico con le ruote sospese da terra. Si scende, si scava e al momento di ripartire mancano sempre Silvana e Francesco: li ritroviamo ogni volta distesi ad abbracciare le dune. Non incontriamo nessuno fino a quando finalmente (ma per modo di dire, perché non saremmo mai voluti uscire dal deserto) giungiamo a una sorgente termale a 40º ferrosulfurea ove incontriamo alcuni beduini i quali, espletati i saluti di rito, ci lasciano campo libero per un bagno ristoratore.
Sosta per il pranzo all’ombra delle palme a base di verdure, sardine, formaggio e gustoso pane arabo. Siamo di nuovo in marcia, questa volta le dune fanno sul serio: discese mozzafiato una dietro l’altra ed infine di nuovo Siwa. Ci fermiamo per un giro sui dromedari; l’avevamo promesso a Francesco ma ne approfittano anche Silvana e Carmen e le risate si sprecano. Giunti a Siwa, dopo il solito thè, ci concediamo un giro di shopping alimentare: datteri, olive, olio, frutta. Visitiamo le vie del mercato, il tempio di Ammone, i bagni di Cleopatra e la montagna dei morti: meriterebbero più tempo ma torneremo. Siamo già con nostalgia sulla via per Marsa Matruh quando il sole rapidamente scende all’orizzonte e la luna sorge a est: una breve pausa per due foto e poi via diretti alla città.
Giungiamo verso le 22, abbiamo fame per cui ci fermiamo a prendere un cartoccio di falafel (polpette di fave) per divorarle con la focaccia. Tutto è magico qui, anche cenare sul cofano della jeep in mezzo a una via di Marsa Matruh. Giungiamo a mezzanotte ad El Alamein, subito a dormire perché l’indomani ci aspetta la Depressione di El Qattara. Nel frattempo un gruppo di amici di Milano guidati dalla affabile Marilena mi invia un messaggio chiedendo di potersi aggregare, per cui Ahmed provvede a far arrivare un'altra jeep e così rinfoltiti alle nove si parte alla volta del fronte. Prima tappa Qaret el Abd, sede dell’ospedale sotterraneo italiano: troppi visitatori sono passati dalla mia prima visita, per cui l’abbondanza di reperti che vi si trovavano, ora è solo un ricordo; pure la targa bronzea che avevo apposto a ricordo di mio padre è sparita: solo quattro fori su un costone roccioso, qualche proiettile e nulla più, ma la suggestione del posto è intatta.
Rotta verso El Munassib, deir Alinda: qui i reperti sono ancora molto numerosi, buche, postazioni, bossoli, proiettili e mine; perfino una radio a valvole italiana! Tutt'intorno però le compagnie petrolifere stanno mappando il terreno con sacchi di sabbia posti ortogonalmente e a perdita d’occhio; i campi minati attivi stanno sparendo, e ritengo che fra un po’ d'anni tutto sarà cancellato e stravolto. Peccato! In lontananza si scorgono le due vette coralline dell’Himeimat, baluardo invitto della “Folgore”. Anche qui troppi turisti predatori sono passati ma la suggestione ci invade e ci commuove come la prima volta e, saliti sulla vetta di una delle due alture, si apre ai nostri occhi la distesa infinita del campo di battaglia a nord e della depressione a sud.
In cima le postazioni dei nostri soldati resistono ancora al tempo e tutt'intorno una distesa di fossili meravigliosi e resti di scatolette di ormai 65 anni fa. Ci accampiamo per il pranzo proprio nella gola delle due colline quando, sulla sommità della collina maggiore appare sventolante un tricolore! Siamo tutti commossi e non per retorica, ma l’Himeimat lo consideriamo come un pezzo di casa nostra. Apprenderemo poi che ci ha raggiunto un gruppo di paracadutisti della sezione di Monza. Con Roberto e gli altri ci dirigiamo a piedi verso il Passo del Cammello (nota località di avvistamento) e lungo il tragitto rinveniamo bottiglie incendiarie ancora integre, bottigliette di “succo di limone per thè” e altre imprecisate di bibite made in Canada (preda di guerra dei nostri soldati che al loro arrivo, semplicemente urlando “FOLGORE” misero in fuga le truppe britanniche, che abbandonarono rifornimenti e... Un carico di impermeabili in gomma).
Ora ci dirigiamo verso un'altra località, ma non cito volutamente il nome poiché qui è ancora tutto intatto dal novembre 1942: trincee perfette, buche e ogni ben di Dio come armi, munizioni, gavette e... purtroppo anche miseri resti mortali, avvolti ancora dalle divise ormai lacere. Trovo anche una cavità naturale enorme, con un buco di accesso di appena mezzo metro, ma è pericoloso entrare senza attrezzatura per cui mi limito a fotografarla e rilevarne il punto gps. Resti di un Mauser K98 indicano che vi erano anche soldati tedeschi. Qui il tempo si è fermato, sembra tutto abbandonato da poche settimane, invece è il 2007, speriamo si mantenga ancora per molto tempo.
Entro le 18 dobbiamo abbandonare la zona: ordine delle autorità di polizia, e così di nuovo in marcia verso El Alamein. Siamo all’ormai noto passaggio a livello sulla pista Rommel con la stazione rimasta come allora: sosta per alcune foto e poi un buon thè alla menta in un caffè shop dell’abitato. Un po’ di acquisti consentono di concludere nel migliore dei modi un tour nel deserto occidentale egiziano davvero unico e indimenticabile. Il resto è vita di spiaggia.
Un grazie a tutti i miei compagni di viaggio: Tiziana, Chiara, Carmen, Silvana, Francesco, Giulio, Roberto, Anna, Lorenzo, Marilena e il suo gruppo. Insuperabile Ahmed e sua moglie Sinah della Apple Tours, un grazie alle guide Menem e Mohamed e allo staff Alba Club: Valentina, Ahmed Joe e tutti gli altri che hanno contribuito alla perfetta riuscita del viaggio!
Infine un consiglio: ATTENZIONE, la dogana egiziana ad El Alamein non è più permissiva come una volta, vi rivoltano come un calzino!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ma andateci prima che cambi tutto.
10 Marzo 2008 / v05

QATTARA HOME PAGE
DOCUMENTI & TESTIMONIANZE HOME
LE MILLE E UNA FAVOLA
UN PARACADUTISTA RACCONTA
ALLA RICERCA DEI RELITTI PERDUTI
LETTURE CONSIGLIATE
FOTO STORICHE & RARE
FORSE NON TUTTI SANNO...
SANTO PELLICCIA - UN REDUCE


Se volete fare quattro chiacchiere sul deserto del Sahara, scrivetemi:
danielemoretto@libero.it



© qattara.it 2006-2007-2008. Tutti i diritti riservati. Contenuto: Daniele Moretto. Disegno: Giorgio Cinti